WordPress 5: un motore che si rinnova per un’economia che cresce.

Fulvio Romanin
9 min readNov 22, 2018

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(attenzione, contiene spoiler)

tl;dr NO NON TI SI ROMPE IL SITO CHE HAI GIA’ ONLINE.

“WordPress è una schifezza piena di buchi. WordPress è una delle più attive comunità del pianeta. WordPress l’azienda che produce gestionali lo guarda dall’alto in basso. WordPress te lo richiede il cliente perché non si fida dei gestionali delle aziende. WordPress rappresenta circa il 20% dei siti internet del pianeta Terra. WordPress va bene per fare i siti brochure. TechCrunch, Bloomberg e il New Yorker sono in WordPress.
Sai mettere i dati nel sito? Cos’è? Wordpress. Ah, sì!”

Il 27 novembre 2018 esce, dopo lunghi ritardi, WordPress 5. E, suo malgrado, sarà una piccola rivoluzione.

Chiedo scusa sin d’ora per la premessa ma è necessaria.
WordPress (che da qui in poi abbrevieremo amichevolmente in WP) veleggia oltre i suoi quindici anni di storia; da piccolo strumento senza pretese nato per gestire piccoli blog e piccoli siti di aziende brick and mortar ha subito un processo affine a quello del resto del mondo internet: quella che era una sottocultura nerd di poche paginette in questa fascia di tempo si è trasformata in una economia rilevante, capace di generare milioni di euro e milioni di contenuti ogni giorno, contenuti che — questa è la novità — cominciano ad essere concepiti per essere persistenti nel tempo. Il popolo di internet ha scoperto che il futuro è un posto molto lungo e che un’economia che deve prosperare sul digitale ha bisogno di strumenti robusti e che resistano all’obsolescenza.
Pochi scrittori di fantascienza, negli anni ’50, avevano preconizzato l’avvento della Rete (che ormai viene chiamata così per antonomasia, addirittura: “la Rete”), e non l’avevano immaginato così pervasiva e così pop: la tua arzilla nonnetta usa WhatsApp con maggiore disinvoltura della tua figlia adolescente e ti tormenta con decine di messaggini e gif animate. Un sito internet, anni fa, era una brochure chisiamocosafacciamodoveandiamo. Ce ne sono ancora molti, capiamoci, di siti del genere, forse una larga maggioranza addirittura: ma l’economia della rete, quella più redditizia e persistente si sta spostando altrove.

2016: mia moglie lavora come project manager in un’azienda americana. Per ogni singolo progetto ricevono decine di ticket di assistenza ogni giorno. Ognuno dei siti ha migliaia di pagine generate in automatico. L’azienda dove lei lavora fattura varie decine di milioni di euro l’anno.

Chi come noi ad Ensoul sviluppi siti internet — che ormai fa quasi povero chiamare così, le agenzie amano parlare di digital experiences, online store, mobile entertainment banana hammock, e via cialtronando — deve valutare molti criteri nella scelta di uno strumento: flessibilità, scalabilità, comunità alle spalle, velocità e possibilità di farlo gestire all’utente senza che questo abbia le convulsioni o una laurea in ingegneria aerospaziale.

“La chitarra è uno strumento facile da suonare, male” (Fabio Mariani)

WP. è sempre stato uno strumento pop: forte della sua assoluta modularità, permette con pochi clic di cambiare l’aspetto grafico (“il tema”) e aggiungere nuove funzionalità (con i plugin) anche agli smanettoni più inesperti. Uno strumento perfettamente democratico, che sa muoversi agilmente anche al di fuori del mondo dei sacerdoti della tecnologia. Forte di una comunità senza pari nel mondo web, è, suo malgrado, diventato il regno degli accrocchi. Plugin che non si parlano tra loro, pieni di bug che si moltiplicano, che diventano obsoleti ed insicuri, temi da 50 euro tutti uguali (a volte curati come quelli che fanno la media delle pompose aziende, ndFu): in un mondo come quello dell’ex-azienda di mia moglie, WP. viene visto come lo scemo del villaggio, un incubo pieno di trappole per gli sviluppatori.
Quanto di questo è vero?

(un po’ di sano terrorismo psicologico da parte della concorrenza)

La risposta magica è “dipende da te”.

WP. non ha un solo modo di essere utilizzato: può essere utilizzato con approssimazione, o come un reale strumento moderno di sviluppo tecnologico, con server di production e di staging, con repositories su Bitbucket, sistemi di rollback e performance che nulla hanno da invidiare a più blasonati concorrenti; persino come headless CMS.
Se ci perdi tempo e ci investi risorse, è uno strumento di gestione potente. Un sito da 50 euro vale, come al solito, 50 euro.

Tutto il mondo degli sviluppatori si aspettava dalla release 5 un bel salto in avanti: e c’è, ma stavamo guardando dalla parte sbagliata.

Se speravamo in una proiezione al di fuori dal solito backend, in una riscrittura (sospirata quanto necessaria) della gestione dei media, in una “professionalizzazione”, per così dire, del sistema di sviluppo, non abbiamo grandi notizie per noi. Quando abbiamo ricevuto in dono le REST API abbiamo pensato “UÁUZ! Dai che possiamo sconfiggere quegli spocchiosi di Drupal e Typo3”, poi è arrivato il customizer che ha aperto la strada ad una marea di AH MA IO SO FARE L’INTERNET e di nuovo ci siamo sentiti dare degli scemi del villaggio.

Il primo obiettivo di WordPress 5 è migliorare la qualità dell’esperienza di scrittura. E graziarcacchio, diranno i miei piccoli lettori, su WP. si scrive.

(fonte: https://it.semrush.com/blog/gutenberg-la-rivoluzione-in-arrivo-su-wordpress/ — molto interessante se volete approfondirne gli aspetti tecnici)

L’ispirazione principale è — guarda un po’ — proprio Medium, il sito sul quale state leggendo ora. Con la divisione del testo a “blocchi” intercambiabili, e la possibilità di aggiungere in maniera semplice ed efficiente contenuti molto diversificati tra di loro: gallery fotografiche, capolettera, colonne, immagini e quant’altro.

Se lo chiedete a me, l’esperienza è sicuramente migliorabile ma promettente: meglio del precedente editor di testo al quale mancava soltanto il logo di Flash per far precipitare del tutto nel gorgo dell’obsolescenza. Se lo chiedete agli utenti di WordPress, e se valutaste le recensioni del Codex come quelle di Tripadvisor, Cannavacciuolo starebbe già salendo in auto.

MA.

Ecco, questo era il momento del grosso, grandissimo MA che apre la strada al cambiamento.
Gutenberg non è un punto di arrivo. È un punto di partenza.
L’infrastruttura in React che c’è dietro è solida e — per quanto non banale — developer friendly. Aggiungere nuove funzionalità non è per nulla immediato, ma questo paradossalmente può essere un vantaggio.

Spiegazione in termini economici.
All’interno del mondo del web development esistono macroaree di lavoro. Quella del frontend è quella immediatamente visibile all’utente (“il sito è bello”) e quella che consuma una parte rilevante del budget progettuale essendo costantemente fonte di attenzione e dispendio di tempo e frustrazione (“ma allora potremmo”). Righe, colonne, immagini di sfondo, tipografia: been there done that, il magico mondo del “più giallo più bianco più grande”. Una parte che, terminata la parte artistica, diventa ripetitiva e noiosa, e persino costosa: ore ed ore di prova e riprova su un ambiente nativo responsive che spesso è difficile da spiegare al cliente come tale (“cosa vuol dire che non si può andare a capo?”) e influisce sugli utili dell’azienda in maniera non secondaria.
E se l’azienda non è una one-man-band ma una agenzia dove gli sviluppatori restano in azienda per un po’ e poi vanno altrove (per le solite mille ragioni della vita) mettere mano sul codice altrui è un bagno di sangue.

Alzi la manina tra gli utenti di WP. chi non ha mai provato ad usare almeno una volta i temuti “page composers”. Strumenti ottimi per chi debba impaginarsi una paginetta senza pretese, ma a mio dire non professionali. Mi dispiace.
Sento già chi mi dice che Oxygen 2 è ottimo, che Elementor è una figata, che Visual Composer spacca, che Beaver Builder ecc. ecc.
E poi vi chiedo: ok, per quanti anni avete intenzione di gestire questo sito? E quanto veloce va?

Sulla parte “veloce” argomento con le statistiche: un sito che ritardi di 2 secondi il caricamento perde il 15% dei visitatori. 4 secondi? 25%. E non credo che la competizione diminuirà.
Non stiamo parlando di pochi soldi.
Ora, immaginiamo che come me siate i titolari di una piccola azienda: affidare in toto le proprie strutture ad un servizio di terza parte è molto rischioso, specie su progetti che si sperano destinati a durare a lungo.

fonte: https://www.hobo-web.co.uk/your-website-design-should-load-in-4-seconds/

La porta che apre Gutenberg è importante.

Gutenberg è — a modo suo, in divenire — un page composer “di serie”. Ancora molto approssimativo nel responsive, con enormi margini di miglioramento, ma.

Ad Ensoul abbiamo creato un piccolo progetto interno, talmente piccolo che l’abbiamo chiamato Skinny (“er secco” diremmo a Roma), ancora alla versione 0.22. Un prodotto minimale, e fatto per essere customizzabile.

Ta-daan!

Skinny si integra in Gutenberg automaticamente.
Appare in un box insieme al resto delle features.

Le features presenti in questo momento.

Skinny ha una serie di features basiche: le cose che usereste nei siti di ogni giorno. Card, gallery, image slider, elenco di post, slider di post, gallerie modali, griglie. Cose che fanno parte dell’ordinaria amministrazione di un sito gestito dai suoi utenti. Soprattutto, sono dei templates scarni — da cui il nome — dei quali lo sviluppatore può fare una copia nella cartella del tema e poi customizzare a suo piacimento per il singolo cliente (per gli sviluppatori: come WooCommerce. Stesso principio).

Skinny è basato su Uikit, un framework alternativo ma non concorrente a Bootstrap: i due si compenetrano con discreta agilità senza pestarsi i piedi. E Uikit, come Bootstrap, è basato su una filosofia scalabile: le varie definizioni di larghezza, altezza, colore e quant’altro sono ognuno una classe separata.

Quello che prima era

.intestazione {
margin: 50px 0px;
text-transform: uppercase;
height: 100vh;
background-color: #eeeeee;
}

diventa

<div class=”uk-section uk-text-uppercase uk-height-viewport uk-background-muted”>

Sembra codice ridondante? Tutt’altro: il sito tenderà a comportarsi in maniera coerente alle variabili che avremo impostato una volta sola all’inizio, e ogni nuovo sviluppatore che si affacci sul codice non dovrà risalire a quale parte di quale classe sovrascriva quale. Meno css scriviamo, meno costa realizzare e mantenere il sito, meno devo tirare ad indovinare a capire cosa aveva fatto chi.

È proprio questo essere scarno ma developer-friendly che lo porterà fuori dal mondo degli accrocchi.

Uikit è uno dei tanti sistemi, pacificamente, e forse non il migliore. La cosa importante è il risultato. Il risultato, utilizzando Gutenberg con Skinny (usando UN SOLO plugin con solo le cose indispensabili, notate bene) è un sito fatto e finito con questi risultati in termini di performance.

Google Lighthouse dice “molto bene”. La accessibility in questo esempio non è a 100 ma si può raggiungere, l’80 di Best Practices è dovuto al fatto che è una installazione in locale senza https. Dati con contenuti inseriti a caso da un utente test. Non è proprio una cosa banalissima con WP.

Nota bene: portare l’accessibilità a 100 non è impossibile, anzi: dovrebbe essere un impegno di ogni agenzia di sviluppo. Ma questo è un altro discorso.

Questo è il quanto: in meno di un mese di sperimentazione siamo riusciti ad ottenere dei progressi che cambieranno il nostro modo di lavorare in maniera sostanziale. Formula magica? Santo Graal? Tutt’altro, ma un ottimo punto per una nuova partenza.
Alla domanda: “ma questo quindi abbasserà ancora i prezzi di un sito?” la risposta è “no, mi darà un sito migliore e più efficiente”.

questa pagina semplicissima è fatta tutta in Skinny in circa 15 minuti. Senza templating. L’utente se la gira e se la volta come vuole.

Skinny non sarà disponibile per il download: non finché non arriveremo alla versione 1, o forse mai. Detto questo, ci saranno sicuramente mille altri competitor (in una competizione alla quale non ci interessa partecipare) che proporranno i loro composers. Il mio unico consiglio è: farete questo mestiere per molti anni, nell’interesse delle vostre notti serene state lontani dagli accrocchi. :)

(se volete, ci trovate dal nostro bellissimo sito brutalista, su Facebook e persinanco sull’Instagram)

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Fulvio Romanin
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Written by Fulvio Romanin

Ensoul CEO, old school bboy, part time essayist and novelist. A curious soul overall.

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