La verità, vi prego, sul come fatturare
dove si parla di aziende digitali, e che W.H. Auden possa perdonarmi
(TL:DR; ho sempre trovato superfluo fare slide quando vado a parlare agli incontri; sono un buon istrione da palcoscenico, frutto di anni di musica e di radio, e la mia parte romana pensa arrogante che se fai le slide è perché sei timido. Solo che dopo un po’ di anni e dopo centinaia di soporifere presentazioni capisci che le slide — quelle fatte bene — sono per loro, non per te. E dopo avere avuto molta pazienza con me Thomas Rossetto, deus ex machina dei Programmers in Padua, mi convince a fare stop nella sua città di rientro da Milano. Mentre le abbozzo scopro che sto scrivendo altro, non sto raccontando l’IVA Funesta in salsa 2019, altro che ha allignato nel mio cervello per mesi e che, scrivendolo, si concretizza in formule e numeri. Ed ecco parte di quell’altro. Da quelle slide, che trovate qui, nasce questo ragionamento.
“PADOVANI, CONCITTADINI, E AMICI! Uditemi per la mia causa, e fate silenzio per poter udire: qui si parla di come il mondo digital sia cambiato e di come noi applichiamo regole vecchie a schemi sempre nuovi e sempre mutevoli, mercuriali nel loro modificarsi ogni giorno. Si ciancia tanto di economy 4.0, ma la maggior parte delle aziende ragiona ancora con la testa a libro mastro”.
Io parlo per coloro che conosco, e con cui mi confronto: sicuramente c’è un’azienda a Lumezzane-sul-Lambrusco in grado di confutare quanto dico e che ha già rivoluzionarie tecniche di fatturazione da anni; ma qui parlo alla media delle aziende digitali con cui ho a che fare ogni giorno.
In “Di come fare un ottimo*lavoro e perdere soldi e cliente” vi ho parlato estensivamente delle varie problematiche che possono portare alla deriva un progetto: contratti fatti male, scope creep, errori di comunicazione, problemi di fatturazione. Qui vorrei proseguire nei ragionamenti concentrandomi prevalentemente sulla parte di fatturazione.
1. O del tramonto del full stack tuttofare
È il 2009 ed io gestisco il sito del Rototom Sunsplash completamente da solo da vari anni. Certo, ho chi mi dà i contenuti, qualcosa di grafica, ma da solo reggo una pletora importante di ruoli che vanno dal designer, allo sviluppatore, al QA, al gestore di forum, al parcheggiatore abusivo e Dio sa cos’altro. Nel 2009 il Rototom Sunsplash è all’avanguardia, il suo sito lavora tutto l’anno e, nel periodo in cui si fanno ancora le grandi campagne di lancio, un’unica release a giornali e testate in cui viene reso noto il line up del festival, il Sunsplash sperimenta con (enorme) successo il content dripping, annunciando in media un nome di nuovo artista a settimana, e mantenendo vivo l’interesse su di sé. Io lavoro per loro 24/7/365.
Ma, pure nel suo volano stagionale, resta un’eccezione: la maggior parte dei clienti con cui ho a che fare sono clienti poco più che one shot. Fai il lavoro, lo consegni, e ci vediamo tra tre anni (che tanto le news sul sito non le aggiornate: io lo so e tu lo sai, ma non le aggiornerete).
In questo contesto, lo specializzarsi in un ruolo è più la conseguenza del lavorare presso un’agenzia dove hai già altre figure che fanno altro che non una necessità economica e professionale. È il mio collaboratore Omar Gourari, nel 2014, a usare con me l’espressione full stack per la prima volta ed io uh, sì, certo, lo sono da anni e non lo sapevo [consulta freneticamente su Wikipedia] AH ECCO PERO’ sì bon, eh, lo sapevo, chissà cos’ha fatto la Sampdoria. Sto mentendogli, chiaramente, ed arrampicandomi sugli specchi. Ripongo il termine full stack nel cassetto mentale degli inglesismi fastidiosi da riunione a Milano.
Nel frattempo la maniera in cui le persone usano internet cambia. L’economia generata dal digitale diventa consistente, tale da spostare in maniera tangibile il fatturato anche di quelle aziende che non lavorino direttamente vendendo su internet.
Cosa è cambiato? È cambiato che attraverso la finestra dei browser passano servizi sempre migliori e sempre più utili, e anche le aziende più conservatrici sono costrette a riconoscere le effettive potenzialità economiche di questo strumento. Lascia fare “va bene per il marketing”: è più una cosa CI FACCIO SOLDI VERI. Se prima ero il tipo strano dei computer, ora resto il tipo strano dei computer ma porto soldi, ed improvvisamente in riunione inizi a prestarmi attenzione, non ad ascoltarmi e basta.
Divento rilevante non solo perché riesco ad aprirti un ecommerce, ma perché sono qui per restare: il vincolo che si crea tra un’azienda ed una agenzia digitale esterna non è più “il tipo del sito” ma qualcuno con cui dovrai sentirti molto, molto più spesso di prima.
Per il freelance, e per sineddoche per il full stack, diventa sempre più impegnativo gestire progetti molto complessi. Perché come dice un antico saggio orientale “puoi essere bravo in molte cose, ma se eccelli in una sola in tutta la vita è già grasso che cola” (F. Romanin, “L’IVA Funesta”, UTET 2018). Non solo non sei la dea Kalì, ma di fronte ad un impegno importante non puoi valere da solo quanto un pool di professionisti e costare meno.
Non è giusto per te, ed il cliente non lo merita.
La pervasività del digitale ha fatto sì che la gente, anche quella meno preparata, si sia abituata rapidamente a servizi di qualità stellare: quale persona sana di mente si metterebbe a competere con Google Maps oggi? E per la medesima ragione, perché dovrebbe mettere in mano le sorti della propria azienda ad un volenteroso ma troppo precario freelance?
Qualche tempo fa mi sono recato in visita di studio a Big Rock, nel mezzo della campagna veneta: una eccellenza del 3D italiano, i cui studenti, una volta diplomati, vanno a lavorare (anche) nei colossal della Marvel. Chiaramente: all’interno di un film del genere il tuo contributo personale è spesso “particolare del polpaccio di Iron Man infangato nella scena 481”; ma ehi, il 3D è così, è un lavoro di alveare, spesso quantitativo, tra molte figure professionali: ed il web sta inevitabilmente diventando una cosa del genere.
Un freelance potrà collaborare, come già fa, con questa e quella grande realtà “a progetto”; un freelance full stack che voglia rimanere autonomo sarà lentamente costretto ad accontentarsi del pur ampio sottobosco di “siti brochure”, trovandosi a competere con volenterosi autodidatti armati di Themeforest.
2. Dell’antica arte del farsi pagare il giusto
Nota: come nell’IVA Funesta, da ora in poi userò il termine “agenzia” anche nel caso di “agenzia di uno”. Leggi senza spaventarti, dunque.
Un reale ragionamento sui costi di un’azienda parte dal “prima”: l’acquisizione di un cliente ha di per sé un costo, che, per tenersi strettissimi, potrebbe partire da questi costi preliminari iniziali, proprio a volersi tenere stretti-stretti; e non parlo neanche dei costi legati a “ufficio” “logo” e “sito internet” ma proprio quelli legati all’acquisizione del singolo cliente:
1. redazione e correzione puntuale dei contratti, documenti, GDPR
2. spese di commercialista
3. parte (non banale) di contattistica e ricerca, perché il passaparola non sempre basta
4. viaggi, pranzi, cene di lavoro non rimborsati
5. eventuali demo e creatività
a questo si aggiungono i tempi di acquisizione: realisticamente (sì, amico commerciale, lo so che tu lo stesso contratto lo chiudi in tre giorni e tramutando insieme l’acqua in vino, ti sto credendo, eh) dai 2 ai 6 mesi, a seconda della cifra, della trattativa e della lentezza burocratica del cliente (“devo prima ottenere l’approvazione in ceralacca e sangue dall’esarca alla contabilità, figura mitologica che non si vede fisicamente dal 1981”). Costi che di solito consideriamo con superficialità all’atto del preventivo: ma sono soldi, soldi veri che abbiamo speso senza nemmeno accorgercene.
Acquisire un cliente costa tanti soldi: è normale e giusto parlare di “costo per cliente” (per la precisione lo sfortunato acronimo CAC, costo di acquisizione cliente)— e rabbrividireste se faceste i conti — e per una agenzia di servizi è ancora più difficile da quantificare di chi si occupi di prodotti. Spesso si perde la gara per l’acquisizione per un cliente importante perché l’agenzia rivale può sostenere costi più elevati in questa fase.
Mantenere un cliente è altrettanto elaborato:
La tempistica realistica di ritenzione di un cliente in casi di successo è di sette anni: dopo un massimo di sette anni in genere uno dei due — agenzia o cliente — è cresciuto abbastanza da avere cambiato la propria natura ed avere bisogno di altro.
I maggiori fattori per il valore di acquisizione:
Qualità, solidità, costo, affidabilità, velocità. Notate bene che costo è al terzo posto perché, come già si diceva, al netto degli inevitabili conti della serva se un cliente guarda il costo come primo fattore non vuole voi, vuole “cose” e allora tanto vale perderlo.
Maggiori fattori per la perdita del cliente:
perdita di fiducia per basso QA, costo, cambi di dirigenza, cambio della natura aziendale.
Già qui, come vedete, ce ne sarebbe di cui discutere. Ma andiamo a vedere nel dettaglio perché il vecchio schema di fatturazione 40–30–30 non basta più.
Arriviamo alla ciccia vera.
Ecco: qui potete intravedere perché per un freelance da solo sia più difficile sostenere sforzi sofisticati.
Al 10 dicembre 2018 il Cliente, dopo sei mesi di estenuante trattativa (non pagata) firma il contratto con Eleuterio Manganese per la realizzazione del proprio sito internet (o della propria app, o di quello che preferisci). Si inizia a gennaio, ci si scambia i pandori rituali, a te e famiglia!
Il 6 di Gennaio Eleuterio (da qui noto come “l’agenzia”) riceve tutto il materiale per iniziare il lavoro. Sento già alcuni di voi ridere: in genere il materiale arriva con tempistiche orrende su antichi floppy disk da 5 e 1/4, ma ok. Eleuterio emette una fattura consistente nel 40% al 2 gennaio ed usando l’antico incantesimo dell’expecto bonificum gli viene saldata brevi manu: su un progetto — diciamo — da 10000 euro, 4000 euro appaiono sul suo conto.
Eleuterio, che non è uno sciocco, sa che quei soldi dovranno durargli un bel po’, visto che più ore lavora su un progetto a forfait, meno guadagna. Dopo essersi concesso il mirabolante lusso di un gelato con una pallina al melone, inizia a fare codice come un forsennato: per i successivi 60 giorni non uscirà di casa pur di rispettare la deadline e le micromodifiche (scope creep) che già cominciano ad percolare dalle mail del cliente che aspetta che te lo dico ora o dopo mi scordo. Eleuterio sa, essendo saggio, che fino al 1° marzo non deve far vedere un singolo pixel al cliente, sennò questo comincerà a cambiare le carte in tavola senza rinegoziare gli accordi.
Il 1° marzo, con una barba da boscaiolo e l’odore inconfondibile da programmatore non lavato, un orgoglioso Eleuterio condividerà con il Cliente la prima release del progetto, il quale emetterà il suo caratteristico richiamo naturale costituito da una serie di vocali: “Oooh aah ooh bello non come quell’idiota del precedente fornitore, MA”. Intanto che il Cliente si consulta con la sua anziana madre ed il lattaio sul blu ottanio del fondale e su quali media query siano utili, Eleuterio, avveduto, stacca la prima fattura. Pagamento a sessanta giorni, se non a 60gg ff mm, fine mese, quindi vallassapé. Nel frattempo Eleuterio riceve una prima lista di correzioni raggelanti per il progetto che timidamente cerca di far comprendere che sarebbero fuori dal budget, eh ma tu hai detto, e allora io, e la samba la conosciamo. Impaziente di terminare la trattativa, Eleuterio dice di sì.
E sbaglia. Perché pensa di fare una bella figura, ma fa solo la figura di uno che cala le braghe.
Ed è il 15 aprile quando Eleuterio si ripresenta in ufficio da un cliente sempre più impaziente per una seconda revisione. Eleuterio un po’ si arrabbia, ed anche il cliente è di malumore, perché il cliente voleva che l’app che prendeva i gattini da giphy li prendesse in ordine discendente di numero di macchie del pelo e di colore, era OVVIO e questo influirà CHIARAMENTE sul fatturato della sua azienda. Eleuterio concorda a questo punto delle ultime modifiche che puozzamurì sono ne ultime e si intuba tipo Matrix fino al primo giugno.
È il primo giugno: i 4000 euro iniziali sono diventati circa 800 euro al mese, e sono finiti da un bel po’, anche a fronte di una condotta economica più che proba (“ci sposiamo l’anno prossimo, dai”). Uno stipendio ingiustificabile di fronte alle sue capacità tecniche: a fare pulizie prendeva di più. Ma è l’amore per l’arte, l’amore per il suo lavoro a fregarlo e non fargli vedere che sta sbagliando.
Qui ci sono due finali, a questo punto:
1. Eleuterio, dopo un bel po’ di wrestling via mail, riesce a far capire al cliente che questa fase del lavoro è finita e che intanto si pubblica, poi correggeremo (“il sito andrà online quando che sarà tutto perfetto” contesta il cliente, inventandosi un congiuntivo ex abrupto) ed emette la terza fattura, magari promettendo che quella cosina lì la correggiamo dopo. Eleuterio è ancora a 30gg almeno dall’incasso della seconda fattura, nota bene. Emette fattura, se va bene vedrà quei soldi ad ottobre perché ad agosto e primi settembre nessuno paga. Intanto mangia muschi e licheni dal frigo e prende altri lavori orrendi e malpagati per fare cassa.
2. Il cliente è aggressivo, strepita e strilla, minaccia di ritirare la seconda fattura, usa la parola danni di immagine come sempre alla cazzo di cane, ed inizia la fase detta tagliola di lupo in cui ti pago quando hai fatto queste ultime modifiche, e anche questi tre punti, che contengono il sottopunto 4 con il configuratore 3D con 10000 modelli.
A questo punto è dicembre, ed Eleuterio ha portato a casa per il lavoro di un’anno quelli che, facendo un altro lavoro, sarebbero arrivati a giugno, tutti interi. Si sposerà l’anno ANCORA prossimo.
E la colpa, paradossalmente, è soprattutto di Eleuterio.
Perché i suoi contratti non sono stati rigorosi.
Perché non ha dato al cliente uno statement of work con scritto chiarissimo i do ut des.
Perché ha detto “ok va bene” quando a litigare un po’ di più non solo non faceva scontento il cliente ma non gli dava l’impressione di litigare con un pirla. E per mia esperienza è meglio passare per rompiballe che per stupidi.
3. Una prima prospettiva per il digitale.
Questo scenario è comune a chiunque sia abituato a confrontarsi con quel mostro che si chiama “ufficio acquisti”. Un ufficio acquisti deve mettere in riga le cifre ed i budget. Non è cattivo: è il suo lavoro. Un ufficio acquisti, di solito, deve quantificare le ore di lavoro: lavora ad ore. Per loro siamo dei cottimisti, in breve.
Ecco, si e no.
Non so se esista uno slogan del genere, ma se non c’è me lo registro io.
“SELL, BUT DON’T SELL OUT”. Venditi, ma non svenderti.
Se stiamo realizzando qualcosa che richieda più di un mese di sforzo il preventivo, per essere fatto bene, deve contenere almeno:
- una piccola porzione dei costi preliminari: non farò pagare tutta la stesura di tutti i contratti ad un solo cliente, ad ogni cliente una parte di tutti.
- la parte “concettuale” del vostro lavoro, che se non è, per così dire, la demo grafica che gli avete realizzato, è la parte di esperienza che vi ha portato a dare delle risposte invece di altre, la stesura progettuale. Quella non sarebbe quantificabile ad ore, ma diciamo che, sui 10000 euro di Eleuterio dovrebbe, in linea teorica, essere una cifra tra il 20% ed il 40% del vostro costo a seconda del vostro lignaggio. È lì che siete davvero bravi voi, non siete solo dei “muratori digitali”. Far passare il messaggio contrario significa sminuire tutto il vostro lavoro.
- la parte esecutiva, che dovrebbe in teoria essere la parte puramente quantitativa del vostro lavoro, quasi la schiuma della birra.
Il pacchetto orario è un metodo molto gradito all’ufficio acquisti perché può amministrare quei costi e perché non deve aprire un ordine di spesa per ogni jpg spostato. Ma questo è un problema loro da conoscere, ma che non deve diventare vostro.
In uno scenario del genere, quindi, al netto del solito litigio in fase di negoziazione Eleuterio avrebbe dovuto far capire che le modifiche extra comportavano N ore di lavoro in più e un numero di ore se non un pacchetto orario aggiuntivo: “Caro, ma se nella macchina decidi dopo che vuoi anche gli optional non segnati sul contratto, li paghi”, direbbe il saggio Eleuterio, dando una metafora comprensibile anche al titolare.
In questo primo scenario, quindi, Eleuterio si salva.
E impara a dividere i costi redazionali del progetto da quelli esecutivi.
Al netto delle tempistiche di pagamento, ad esempio, i costi redazionali vanno nel subito, e gli aggiustamenti nel dopo, per cui, per metafora e solo per metefora, invece che un 40–30–30 diventa almeno un 60–20–20, o meglio ancora un 30–30–20–20. Apparentemente poca differenza, ma moltissima se il rischio è di perdere il 20% finale di fronte a tagliole per lupi infinite. E di nuovo, ancora più importante, si abitua il cliente all’idea dell’always on, del fatto che il di più si paga a partire da ieri. Se il cliente impazzisce, un 20% di rimissione è meglio che lavorare gratis per sempre.
Se poi Eleuterio è veramente sveglio, pensa a quest’altra possibilità.
4. Una seconda prospettiva per il digitale
Un sito internet non ancora ma quasi, un’app non ancora ma quasi, un gestionale invece sì, richiedono un rapporto costante con l’azienda. Un rapporto di crescita in parallelo che adempie alla sua funzione principale: esternalizzare le necessità del Cliente su un fornitore esterno. Ad un cliente, fino ad una certa sua scala di grandezza, conviene esternalizzare certi costi di produzione su una azienda di terza parte che non avere un proprio dipartimento di sviluppo interno a tal fine. Le agenzie di comunicazione, invece, di fronte all’alzarsi costante dell’asticella tecnica per competere con Google Maps, per restare nella metafora di prima, stanno sempre più dismettendo le proprie aree digitali: non gli conviene più internalizzare la risorsa ma fare accordi di partnership con terzi. È un buon periodo per le dev agencies.
A questo punto, Eleuterio, dopo avere studiato un po’, capisce che esiste una possibilità B. La possibilità B è quella per cui, pulito, rasato e ben vestito va dal cliente e gli spiega che un progetto ha:
- dei costi di partenza, fino a quel punto del tragitto. Realizzazione “artistica” e progettuale, prima parte “a cottimo” su un budget rigorosamente quantificato.
- dei costi di sviluppo ulteriore: “eh ma volevo anche che” si paga. E qui arriva il punto numero due: Eleuterio capisce che il pacchetto orario da 30 ore è conveniente ma fino ad un certo punto, perché fare la reportistica ed i micro preventivi per ogni intervento gli costa (“ci sto tre ore a farti questa pagina”) e costa al cliente ogni tot fare una nuova richiesta di pacchetto orario. Che lui non ci guadagna tantissimo perché deve diluire là dentro anche i costi “artistici” e non orari e non è facile da giustificare. E che a questo punto conviene ragionare a budget in maniera più organica, impostando delle fasi di sviluppo a lungo termine.
Qui chiaramente a livello di trattativa si spalanca un tombino di possibilità: ti pago tutto subito, un tot al mese a fronte di risultati raggiunti, ti pago trimestralmente, e via dicendo. Qui sta a voi capire cosa è meglio per voi.
Anche qui sta a voi gestire la trattativa: un cliente potrebbe non essere felice di fare un 60–20–20 perché è un bel salto di fiducia verso di voi ed un bell’ammanco dalle sue casse. Se fosse un 30–30–20–20 magari anche la manda giù: gli darà fastidio tutta questa burocrazia ma potrebbe per contro apprezzarne la serietà.
Capite se a questo punto ha senso staccargli una fattura mensile (regolamentando tutto con dei contratti): lui ha così tempo di capire se siete dei millantatori, e voi potrete pagare tranquilli le bollette senza impazzire in contabilità. Anche lato suo, c’è chiarezza su una prospettiva di budget e vedere andare via mille euro al mese invece di 6000 one shot è una forma di elasticità che potrebbe apprezzare.
Se avete un po’ di pratica minima aziendale sarete consapevoli che il problema più grande di un’azienda è fare — e chiedere di fare ai propri collaboratori, ohimé — da “banca”, e mille euro al mese sono sempre meglio di cinquemila one shot in cinque mesi. Un mondo dove avete introiti fissi è un mondo più felice.
In questo, più step di approvazione (“la grafica” “i testi” “il pulsante di autodistruzione”) riuscirete ragionevolmente a “blindare”, più lo scope creep su ogni singolo punto sarà relativamente facile da far percepire come change request fatturabile. E come diceva quello
È chiaro e pacifico che, parlando di costi redazionali, il costo per la sola redazione progettuale del contratto e la trattativa non sono banali. Ma stiamo parlando di progetti su uno span di vita di almeno due, tre anni. Ci sta.
Ricordatevi che uno degli aspetti più importanti di una trattativa non sono solo i soldi, ma anche il tempo: la creazione di un software è, per sua natura, un servizio più che un prodotto, e come tale la ripetitività di quello che si può fare è solo parzialmente ammortizzabile. Si possono migliorare i metodi di produzione delle proprie strutture, lavorare sull’ottimizzarne la scalabilità, ma se non c’è da inventare la ruota ogni volta, quasi.
“I commenti nel codice sono la lettera d’amore che lasci al te stesso del futuro” (Henry Triplette)
I miei piccoli lettori diranno: “Fu, ma ti stai inventando l’AGILE development?”. Non proprio: ne sto applicando una parte delle intuizioni alle mie necessità; come già nell’introduzione dell’IVA funesta, “Non sono sceso dal Sinai con le tavole della legge, quanto qui scritto è solo la mia opinione, non Verità”.
Ma c’è un universo digitale di piccole aziende come la mia che è lost in translation in questo cambiamento di paradigma, ed a volte cambiare passo e mentalità richiede uno sforzo non banale.
Spero di esservi stato di qualche aiuto: vi ascolto nei commenti.