La prima profezia di Romanin
(che se poi andrà male, fischietterò facendo finta di niente, sennò sai che figurone)
E’ il 1981 quando mio padre mi compra il primo computer dopo un leggerissimo insistere — sì, ci ho pensato anche io, sono coetaneo dei bambini di Stranger Things. E’ un glorioso Zx Spectrum 48K. Si, 48 Kilobites, meno del vostro Nokia del 1991. E da quel momento io, che sono già un bimbo stranuccio di mio, divento il bimbo strano. Ho un ricordo molto netto del Natale 1982: i miei amichetti del paesello sono con me nella cucina di mia zia Elmina, e vedono ‘sto pezzo di plastica alieno con mille scritte sopra attaccato alla tv in bianco e nero , e si accalcano in tre-quattro attorno allo schermo provando goffamente a schiacciare i mille tasti per far muovere il pupazzetto sullo schermo. Ne esce qualche suono sgraziato, e risate di bimbi.
I primi palpiti di orgoglio protonerd appaiono in me: “ah, io so usarlo, voi no”. E per quanto quel momento mi fornisca un finora inedito e fugace sentimento di superiorità, appena usciti dalla cucina vengo marchiato come quello strano dei computer. Una qualifica che mi accompagnerà per tutta la vita, a quanto pare.
Nel 1981 sono l’unico del paese che ha un computer.
Mio padre é confusamente orgoglioso di questo figlio che perde ore davanti questo arnese che a lui non piace, ma va bene, sembra contento: speriamo non si rincretinisca ed un giorno pensi al lavoro vero.
(circa 1995) “Fulvio, tu nella vita devi lasciar perdere due cose: Musica e computers”
“Ok, va bene papà”
Sono l’unico del paese, e resterò una mosca bianca fino a quasi i primi anni 2000: perché, in fondo, chi ha bisogno di un computer? Nel mondo del 1981 un computer serve a pochi, a pochissimi.
Spostiamo l’orologio avanti al 2010.
Si fa un gran ridere, sui social, di vecchie profezie a base di “a chi serve un computer”: ci si dà di gomito, e di sorrisini imbarazzati, perché un computer in ogni casa c’è, eccome, o quasi, e guai a non averlo. Internet è ovunque, e i social cominciano a rodere come un tarlo ogni forma di conversazione. Non avere un computer? Beh, si, è un privilegio riservato a certi artisti concettuali, quelli che negli anni ’70 non avevano la televisione per snobismo. Vuoi comunicare? Devi imparare ad usare il computer, digrignando i denti e lottando contro una tigre con i denti a sciabola fatta di tasti funzione, finestre popup che si aprono a caso, cose blu che non capisci, virus e malware, oddio che ho cliccato.
Qui arriva la prima profezia di Romanin.
Spostiamo l’orologio avanti al 2025.
Nel 2025 non c’è più un computer in ogni casa. Se prima c’erano tre computer su quattro case, ora ce ne sono due, forse uno.
Nel 2025 tutti, o praticamente tutti, hanno uno smartphone, o la sua incarnazione immediatamente successiva. Larga parte della comunicazione avviene tramite i messaggi vocali (“Tipo il telefono, ma non del tutto”). La gente non usa più la tastiera: parla, ed il machine learning converte tutto in testo grammaticalmente impeccabile, a prova di analfabetismo di ritorno.
E’ un ragionamento semplice, credo.
Un computer è uno strumento potente, capace di realizzare una serie di contenuti straordinari e diversissimi tra di loro, dal film hollywoodiano ad un intero album musicale (e già questo termine comincia a suonare pesantemente vintage). Contenuti straordinari che spesso richiedono, come nel mio caso del 1981, una conoscenza da iniziati: realizzare con Maya una scena in 3D che sia all’altezza di Independence Day 2 non lo fai premendo tasti a caso per muovere il pupazzetto; servono tempo, soldi, e talento.
E soprattutto, non è qualcosa che tutti vorrebbero fare.
Correggo: è qualcosa che molti vorrebbero non dover fare, specie se esiste una app che fa qualcosa di simile ma senza impazzire a schiacciare tasti. E’ vero, i computer di oggi permettono di realizzare a casa meraviglie, ma non è proprio banale-banale come vorremmo pensare.
Soprattutto, la maggior parte dell’umanità non è dilaniata dall’ansia della content creation, e meno ancora dall’alta definizione; ognuno vive la propria esistenza fruendo più o meno passivamente una serie di contenuti divertenti, buffi o indignofili, e dando una qualche spintina personale alla ruota dei social vuoi con un commento, vuoi con una foto sciocchina o con la foto dei piedi verso la spiaggia. Non è in fondo così inconcepibile; alla maggior parte della gente di chiudersi in soffitta e farsi da soli Avengers infinity war 2, in fondo, non interessa: devo già scaricare la frutta nel verziere o lavorare come segretaria ogni giorno, figurati che voglia ho di stare nottata ancora davanti ad un computer a fare content creation specie quando posso fare qualcosa di simile e buffo a bassa qualità con un’app per riderne con i miei amici. Non per sminuire i sogni di nessuno, sia chiaro: molti sono gli uomini che vivono una vita di nobili intenti. Ma non tutti sognano di diventare Kubrick o Mozart.
La maggior parte della content creation che si fa è ad uso personale, modica quantità, ed è se ci pensate bene è poco lontana da quella che facevano i nostri padri; status sui social, foto sui social, filmatini buffi sui social, pagamento e prenotazione con i social: se pensate che Facebook stia fagocitando internet, forse dovete prendere confidenza con Wechat. I nostri padri creavano la propria memoria storica con più devices (macchina fotografica, diario, telefono, cinepresa, videoregistratore), noi solo con uno e non avevano una social-bacheca per vantarsi ma interminabili sessioni di diapositive. Comodo, no? Verrebbe da dire che questa ne è un’ulteriore controprova: se il risultato c’è, il device in più non è necessario. Ed in questo caso il device in più è il computer.
E’ pacifico: non sono un apocalittico digitale o un luddita; a scapito di possibili, comprensibili allarmismi sulla “idiozia dei nativi digitali” non immagino — voglio e spero di non immaginare — un futuro di scimmie schiacciapulsanti fracalboton saltalmacaco; immagino che la maggior parte dei nostri figli tratteranno la content creation con la stessa noncuranza dei nostri avi, limitandosi in gran parte ad un uso personale. Se avevamo pronosticato un futuro di TUTTI FELLINI TUTTI MOZART, beh, forse avevamo esagerato un po’ le aspettative. Un computer in ogni casa è stato solo un mezzo per arrivare ad un risultato: ora che c’è un mezzo più comodo l’orgia ideologica del tutti potremmo andrà lentamente scemando; per così dire, il futuro è dei pigri.