Impressioni dall’Amsterdam Awwwards Digital Thinkers conference, giorno 2
o “di sviluppatori giovani e talentuosi”
Ho ancora i bassi profondi del bellissimo concerto di Dj Shadow della sera prima al Melkweg che mi risuonano nella pancia.
Confesso: non ho partecipato granché ai momenti di socializzazione del festival, ma con tale nome illustre in città non potevo fare diversamente. Voglio bene a tutti, eh.
Però, Dj Shadow, insomma. Voi mi capite.
Aneddoto buffo. Arrivo davanti all’ingresso del teatro De la mer alle otto e venti, e come tanti miei colleghi, ho frainteso: l’evento inizia alle nove. Ho i capelli da tagliare e la barba da quarto giorno senza rasatura. Sono un omone grande e grosso, maturo, con il badge al collo. Una minuta speaker messicana cerca di entrare spingendo la porta chiusa e mi fa “scusa, tra quanto aprite?”. Riecco il momento in cui mi scambiavano per l’uomo della SIAE ai concerti. “Ehm, sono un ospite”. La tipa arrossisce. “Ah, ok”. E se ne va.
Le mie aspettative sul secondo giorno sono alte: sarò ripagato, eccome se sarò ripagato. Oggi c’è il dev talk, la parte di talk degli sviluppatori, ed io sono già lì che smanio e guardo l’orologio: ho scoperto di questa giornata cliccando su un link a caso ed eccomi qua, ai talk di vari vincitori degli awwwards. Dopo un paio di interventi introduttivi nella sala principale — molto bello quello dello spagnolo Claudio Guglieri — prendo un caffé e mi scaravento al quarto piano, sedendomi in prima fila di cattiveria: non mi sposterò da lì per le seguenti cinque ore e mezza, alzandomi con il cervello che fuma e fa scintille, di gioia e di fatica. A posteriori, sedermi lì è una buona idea: molti degli speaker usano una tipografia minuta e, nonostante i miei proverbiali dieci-decimi-a-quarantotto-anni-senza-occhiali, se fossi stato seduto dietro avrei avuto problemi a leggere.
C’è tanta gente: quasi un centinaio di persone, impazienti di sentire le loro rockstar. E devo dire che se speravo di tornare a casa con dieci tornerò a casa con trenta: alcuni dei talk, segnatamente Baptiste Briel, che graziosamente elargisce alcuni dei suoi elegantissimi snippets javascript per ottimizzare la performance; un clamoroso Luciano Borromei, con insights su sistemi semplici e sofisticati insieme per tracciare con Analytics la performance sui cellulari degli utenti e insights su come saranno i nuovi Google Audits; i ragazzi di Rezn, che profondono a piene mani i trucchi con cui hanno realizzato il bellissimo sito della Pioneer. Paga pegno un po’ la rockstar della serata, quell’Aristide Benoist — poi vincitore del premio indipendente dell’anno — al suo primo speech in pubblico e visibilmente emozionato.
Sinceramente, oltre che ammirazione per le loro capacità, suscitano in me una paterna tenerezza: la maggior parte sono dei bimbi esili, diafani, con i capelli lunghi e biondi — seduti vicini sembrano un gruppo pop french touch degli anni ’90 — e mi scopro ad incoraggiarli con lo sguardo, a fare il tifo per loro. Nota bene: loro, per la cronaca, tecnicamente mi fanno i giri attorno. Sia chiaro.
Sincero: oltre al sempremaggico™ Friedman al workshop, il dev talk è quello che per me è valso — eccome — i soldi del viaggio. Torno a casa con una montagna di idee e di tecniche nuove per rendere migliore il lavoro della mia piccola Ensoul. Se l’awwwards si fosse limitato al solo e solito “design volemose bene siamo fichi” sarebbe stato nettamente meno eccitante.
Domani mattina sveglia ore sei e aereo verso casa: non vedo l’ora di riassumere e sbobinare per i miei ragazzi tutte le cose belle che ho imparato in Olanda.