Il metaverso, le piramidi, gli specchietti per le allodole: di come riinventare il futuro senza farlo davvero.
Buongiorno: spero stiate trascorrendo un’ottima giornata, sorseggiando un caffé forte come il mio. Scrivo dal 31 ottobre 2021, e come me vi sarete svegliati sopravvivendo al continuo gracchiare molesto delle cornacchie dei media: ogni giorno c’è una novità “scioccante” “che asfalta” “gira prima che censurino” anche sui media ufficiali, oramai, che sennò le pubblicità online non pagano le bollette della luce. Quella di oggi è quella per la quale “Facebook diventa Meta e diventa questo metaverso che è tipo una contro-realtà”. Un mio caro amico — non certamente una persona facilmente impressionabile né certamente un luddista, mi manda un messaggio a mezzanotte:
io che sono con la palpebra calante mi prendo l’appunto mentale di rispondergli la mattina dopo. E forte di un caffé robusto, approfittando del sabato mattina, scrivo due note anche per gli altri a cui ho visto condividere status preoccupatissimi.
Questa storia parte da vari punti: un primo punto di partenza è molto largo. Nel 2021 le tech companies sono dei colossi, dei giganti così grandi e così potenti che stanno polarizzando su di sé il futuro della tecnologia e dei suoi sviluppi. Per un microimprenditore come me che “fa siti internet” mettermi a fare a gara con Google Maps è, semplicemente, ridicolo: tra dieci anni potrei non fare più lo stesso lavoro, tanto stanno diventando grossi e potenti. Vi prego di non guardare solamente alle 20 top companies di Forbes, per piacere, tuttavia: Facebook, Google, Apple, Microsoft, ma anche Amazon e Tesla sono colossi smisurati, zaibatsu enormi, ma non sono sole, anzi. Quelli che una volta si chiamavano “paesi emergenti” hanno messo l’acceleratore e si sono seduti a cena al tavolo degli adulti, reclamando bocconi sempre più grossi: il social network più evoluto è e resta il cinese WeChat, anni avanti a Facebook (ci paghi il conto il ristorante dal 2016); la più grande compagnia dei telefoni del mondo è messicana, i telefoni Huawei sono più venduti di quelli della Apple (16% contro 15%) e via dicendo.
Negli ultimi cento anni la popolazione del mondo è aumentata di sette volte (un miliardo nel secolo scorso, 7.7 miliardi ora: la Cina ha ora tanti cittadini quanti ne aveva TUTTO il pianeta un secolo fa) e negli ultimi venti anni, con un ritmo sempre più forsennato, la globalizzazione ha creato fenomeni di polarizzazione sempre più incontrovertibili. Scusate, l’ho presa larga, ma era necessario: torno sul punto.
Meta, dicevamo: prima di tutto Meta non è “il nuovo nome di Facebook” ma è semplicemente una nuova azienda che starà “sopra” Facebook, Instagram, WhatsApp e le controllerà fiscalmente (ed ideologicamente) come già Google aveva fatto quando aveva creato Alphabet, che fa la medesima funzione. Chiaramente il caro Zuckerberg sull’assonanza Meta — Metaverso ci gioca eccome (devo registrare il Fulvioverso prima che lo faccia qualcuno, ndFu), ma come vediamo sono due cose distinte.
L’operazione Meta nasce molto anche come “lavatrice” di un Social Media come Facebook che, negli ultimi mesi, ha dovuto affrontare una serie di scandali sempre più compromissori per una azienda che vede inoltre sempre meno utenti giovani nel suo parco, rubati dal frizzantino e solo apparentemente innocuo TikTok (che ha già le sue rogne) e dove il suo mercato principale — l’India, lo avreste mai detto — l’ha visto finire sul banco degli imputati per un ulteriore picco di casi di stupro. Roba molto brutta, se me lo chiedete.
Prova: nella foto in cima Zuckerberg ha preso come testimonial l’amatissimo (italiano) Khaby Lame, che è il tiktoker più popolare del pianeta Terra. Ed è garetta!
Da un lato quindi scandali, dall’altro nuovi competitor emergenti meno rigidi e più aggressivi: come può non essere il momento perfetto per un bel gioco delle tre carte e distogliere l’attenzione dai problemi? Come può non essere il momento per Zucky per salvare la propria verginità con una “good company” visionaria come Meta per poi lasciare sprofondare — eventualmente — Facebook tra dieci anni dopo averla munta per bene?
Capiamoli: questi ragazzoni americani come Zuckerberg, Musk e Bezos si sono trovati in cima alla piramide alimentare e da bravi faraoni tecnologici ora si struggono nel sognare un futuro ancora più in grande, più visionario — quel misto di visione e megalomania che a volte funziona, altre no.
E da un lato per carità li capisco: chi se non loro — hanno i mezzi, hanno il tempo, e se non ne hanno vogliono inventarselo.
Jeff Bezos non si è solo tolto il capriccio di mandare il Capitano Kirk nello spazio per davvero (in realtà il novantenne attore William Shatner, certo) ma, come altri, sta finanziando società che considerano la morte una malattia e vogliono invertirne il corso. Nientemeno. Del resto lo diceva già Woody Allen: “non voglio raggiungere l’immortalità con le mie opere, voglio raggiungerla NON MORENDO”. Su Elon Musk, l’uomo che ha chiamato suo figlio come un errore in console Javascript, potremmo parimenti parlare per ore con l’usuale misto di ammirazione e scetticismo. Tra i “tecno-illuminati” la “trascendenza digitale” (“copio la tua anima in un floppy”) è cosa vecchia e, se me lo chiedete, abbastanza patetica (“non importa se sono già vecchio, non morirò!” disse il boomerotto ricco che voleva comprarsi anche l’immortalità su Amazon).
Zucky ci mette il carico da dodici con il metaverso. I soliti allarmisti sui social inneggiano a “un universo di poveri con il visore e di ricchi su Marte” (e io penso dentro di me: ma dove ho già visto questa cosa? Ah già, ma è la trama di Ready Player One. Wow, che sforzo creativo!).
L’idea di metaverso gira da almeno qualche decennio ed in un certo senso internet stesso lo è: da Second Life in su l’idea di una “seconda vita digitale” è già vecchia oramai. Ma il suo progetto non è tenerci agganciati a dei monitor (come se non lo fossimo già, ndFu), ma di “sovrapporre” questo strato di informazioni sul mondo reale. Che in fondo è solo un po’ di più di quanto già facciamo con i nostri telefonini ogni altro giorno. Nello shopping, nei videogiochi (sapevate che la più grande company di videogiochi del mondo è cinese e guadagna per lo più sui videogiochi mobile? Ecco, come dicevamo) e in mille altri aspetti. Il video qui sotto, per farvi capire, è del 2016:
che è il caos distopico che ci viene facile immaginare. Ma sarà davvero così?
Permettetemi di dubitarne
Zuckerberg, certo, investirà un sacco di soldi in queste tecnologie, perché per lui sono una way out per distrarre dagli scandali e per sbaragliare la concorrenza. Uno dei punti di partenza sono gli occhialini che sta realizzando con l’italiana EssilorLuxottica, che dovrebbero fare l’effetto del video sopra.
Però.
Però se me lo chiedete, io sono estremamente prudente.
Sì, è vero. La tecnologia oramai è pervasiva: io ho fatto la mia nuova casa — da bravo nerd — tutta in domotica, ed accendo le luci e spengo i termostati con comandi vocali. Ma io sono un nerd, e sono il vostro porcellino d’india delle tecnologie da sempre. Le provo prima di voi e sto male prima di voi.
Nel 2010 tolsi Skype sempre aperto dal computer perché era uno sportello sempre aperto sui clienti che potevano chiamarmi anche di notte se ero sveglio — faccio siti, non sono un pompiere.
Nel 2020, durante la pandemia vidi mia suocera, nostra benvolutissima ospite durante il lockdown, lasciare il telefono in cucina, al piano sotto: svegliatomi anzitempo alle cinque, fui assordato da un tempestare di notifiche al suo telefono dalle amiche sue coetanee che si scambiavano orde di buongiornissimo.
È storia del 2018 che i millennials detestino le suonerie e non amino nemmeno le telefonate, preferendogli i messaggi vocali che diano tempo di riflettere sulla risposta. Socialmente parlando, i casi di Hikikomori, giovani e meno giovani che non escono nemmeno più di casa, si stanno moltiplicando anche da noi. Si parla di Ghosting quando la gente sparisce dai tuoi social e non risponde più ai tuoi messaggi.
La pandemia, peraltro, non ci ha reso impazienti di fare altre video call, giusto?
La realtà è che, specie dopo la pandemia, tutti abbiamo imparato ad usare lo smartphone, anche i più riluttanti, e tutti ne vorremmo meno. Molto meno.
Il VR richiede una stanza, un visore, pesa sulla testa, affatica gli occhi, e per metterti tutto quel gibidomine in testa devi avere DAVVERO una buona ragione. E spesso non c’è. Al momento non c’è e dalla mia prospettiva non lo vedo anytime soon. Il VR e la mixed reality hanno un mercato crescente, certo, ma non è ancora così esplosivo come gli operatori del settore cinguettano da anni.
E gli occhiali belli, oltre a problemi smisurati di privacy, hanno problemi di batteria, di peso, e di non sbattere contro i muri e con l’auto. Il navigatore sul vetro dell’auto è certamente meglio che tenere il telefono in mano come un rabdomante, ma ci vorrà molto tempo prima che sia economico ed efficiente.
Non serve essere i più svegli della cucciolata per capire che un “futuro dove i ricchi sono su Marte ed i poveri col visore” non è particolarmente sexy se sei, anche solo potenzialmente, un “povero col visore”. È materiale per rivoluzioni, ma non digitali: in piazza proprio.
Con buona pace che Zucky si dedicherà anema e core a questo intento per minimizzare gli scandali di Facebook — pronto a ricredermi, per ora a me sembra ancora tutto molto “lavatrice mediatica”. E per dirla con Zio Phil (non quello di Willy il principe di Bel Air ma Philip K. Dick):
“La realtà è quella cosa che quando smetti di crederci non svanisce.”
Try harder, Mark.