Fricoman, o di come Pac-Man imparò a parlare in friulano
L’idea è una di quelle un po’ matte che vengono fuori nelle riunioni e poi qualcuno dice “è una buona idea!” e ci si mette a ridere. Quella risata, proprio quella, è l’inizio di questo viaggio.
Come Ensoul stiamo lavorando da vari anni con l’ARLeF, l’agenzia regionale per la Lingua Friulana, che si occupa di all things furlan per conto dello stato italiano e fa da mamma chioccia a quel friulano che, come tutte le lingue di minoranza (e non solo), rischia di venire stritolato dalla globalizzazione.
Ci siamo trovati subito bene con loro, per la loro apertura mentale: come noi ritengono che la tecnologia sia uno strumento da cavalcare non solo per proseguire tradizioni ma per insegnare alle nuove generazioni a leggere e a scrivere nella propria lingua famigliare. Cosa che con una lingua che ha prevalentemente una diffusione orale ricca di varianti non è facile. Con loro abbiamo tradotto WordPress par furlan, abbiamo fatto sponda all’attivissimo progetto di Telegram par furlan ma soprattutto abbiamo creato il progetto Ghiti, uno strumento didattico per poter educare i bambini dai 3 ai 10 anni al bilinguismo.
È proprio da una riunione per Ghiti che parte l’idea di Fricoman: sul sito ci sono una serie di giochi, spesso open source, e, durante un brainstorming mi appare l’idea buffa e scanzonata di fare una versione par furlan di Pac-man che si chiami Fricoman, vista la somiglianza del caro Pac con una forma di frico, il popolare formaggio fuso con patate “piatto nazionale” friulano
L’idea iniziale è di creare un gioco in three.js per il sito, ma William Cisilino, vulcanico direttore dell’ARLeF, rilancia: perché non farne un “videogioco da bar” come i vecchi cabinati?
Eh, penso io. Sarebbe bello, ma sarà un lavorone. Trovare un cabinato e metterci su un gioco in three.js. Impegnativo.
Cattive notizie per me, penso: per me i lavoroni non sono mai stati un deterrente.
La prima cosa è trovare un cabinato: sembra facile.
Provo a guardare su internet: la modesta scelta è tra mezze imitazioni plasticose da due soldi e senza feeling, o ruderi di vecchi cabinati che costano non meno di un migliaio di euro (!) da qualche parte tra Caserta e Sondrio, lontanissimi e non verificabili a priori.
Provo a scrivere su Facebook se qualcuno conosce qualcun altro che voglia sbarazzarsi di un vecchio cabinato da bar di quelli di una volta. Mi arriva qualche link, e tra questi il più interessante è quello di un mio cugino di Monza(!) che mi indica un esercente della vicina Adegliacco, la S.A.C.A.T, che ha una serie di cabinati e flipper in vendita. Cancello il post su Facebook.
Vado nella loro sede ed è un po’ l’antro delle fiabe: juke box faraonici, flipper stilosissimi, cabinati di giochi di auto con il volante, altri più iperbolici e moderni, ma purtroppo nessun cabinato come lo vorrei io — il vecchio baraccone nero con i disegni sul fianco. Sconsolato, mi metto nuovamente alla ricerca.
Dal nulla, due giorni dopo, mi scrive Edi Serafin, in arte Ed Bastard, che ho conosciuto una vita fa quando lui era manager dei Maci’s Mobile ed io titolare dell’etichetta discografica ReddArmy. Il sulfureo bellunese mi chiama ed in un tripudio di vocali venete mi dice “OÈ VECCHIO MIA SORELLA HA UNO DI QUEI COSI TI MANDO LE FOTO”. Me le gira, ed in effetti è quello che stavo cercando. Sarà da cambiare il monitor probabilmente, ma il prezzo è più che onesto ed io gli confermo l’ordine. Edi arriva di fronte al mio ufficio con il cabinato adagiato sul retro del suo pickup come un cervo dopo una battuta di caccia redneck. Una bella scritta “W JUVE” rigata con la chiave adorna il lato sinistro. Per me va bene: fa vintage.
L’hardware ha un vecchio gioco di calcio ma non ci interessa. Lo scartiamo subito. Apriamo il cassone e dentro c’è lo spettro sumero di Ghostbusters.
Un inconfondibile odore di tomba egizia si diffonde nell’ufficio di Via Villalta. Dentro il cassone i componenti sono tenuti insieme dalla polvere. Il monitor, però, è inutilizzabile: funziona ma emette un baluginio fioco e pieno di disturbi. Provo a tararlo senza successo: è andato. E vabbé, non si può avere tutto. Resta comunque una buona base di partenza, anche perché dentro ha una scheda Jamma funzionante che permetterà di configurare facilmente i joystick. Sarà da cercare un vecchio monitor CRT, di quelli a tubo catodico di una volta. Metterci dentro un monitor di oggi = addio effetto vintage.
L’odore di zolfo si sprigiona per la seconda volta, stavolta dal Friuli, nel momento in cui evoco Enrico Todesco in mio soccorso. L’ho conosciuto a Confartigianato Giovani (sì, è giovane, lui), e mi ha subito fatto un’ottima impressione. Anche lui ha un carattere impetuoso, e dirige con piglio fermo Intellitronica, un’azienda che si occupa di hardware.
Avete presente quel momento in cui avete bisogno di un computer e chiamate “un amico che ne sa”? Ecco, non sono io. Di hardware con capisco nulla da almeno una decade e decido che sarà lui ad occuparsene; presto mi rendo conto di avere fatto un’ottima scelta. Mi consiglia di montare dentro il cassone una piccola Raspberry PI4 al posto di tutto il mondo della componentistica dentro, e di unire il tutto ad una scheda JammaPi che permetterà, con pochissima difficoltà, di configurare i tasti per il gioco.
Io annuisco serissimo come se avessi capito anche solo una singola parola.
Si immerge nel cabinato e ci dà di cacciavite per due ore; quando ha finito, di tutto l’ambaradan azteco che c’era prima resta solo questo: una piccola raspberry collegata con una scheda JammaPi che fa da ponte ai joystick.
A questo punto c’è da vedere del monitor: richiamo l’azienda indicatami da mio cugino ed il loro tecnico arriva a vedere cosa si può fare.
Giulio, il mio socio, mi fa “sembra l’esperto di “Affari di famiglia””. Noi ridiamo e scherziamo, ma lui è super competente e non solo ci dà una serie di indizi per riparare il joystick di destra, ma ci fa con nonchalance: “ah, se volete cambiare il monitor abbiamo un CRT originale degli anni 80 da videogiochi ancora imballato”. Il mio cuore perde un colpo; troppa grazia: il prezzo è ragionevole, glielo compriamo e lui lo monta. Il risultato è spettacolare.
Il display è perfetto. Mi sento come in una sala giochi degli anni ’80. Ora però arriva la parte che mi riguarda: cioé, dovrei mettere sul Raspberry PI un browser che supporti webGL sufficiente abbastanza da non avere cali di performance, collegarlo alla jammaPi e poi sopra il gioco e
….”e sai che c’è? Piuttosto facciamo una operazione filologica fino in fondo e disassembliamo il codice del Pac-man originale. Che verrà sicuramente meglio”, penso.
E di nuovo, la faccio facile.
Fino a qui, in fondo, ho fatto solo il direttore d’orchestra, guardando gli altri lavorare per noi. Ma ora tocca a me.
Il sempre vulcanico Enrico mi segnala PinHP, una distribuzione di MAME estremamente semplice e ben fatta. La installo sulla Raspberry PI e funziona come un orologino al primo colpo. Sono un programmatore: non sono abituato a tali fortune.
Apro i files della ROM di Pac-man e mi parte la labirintite.
Che è ‘sta roba?
Chiamo uno dei miei numi tutelari e amico tra gli amici, Giancarlo Altieri, con il quale ho condiviso le sfighe delle superiori e quarant’anni di amicizia a seguire. Giancarlo era un programmatore quando nessuno di noi lo era, ed in un universo parallelo più bello di questo è il capo di una multinazionale della Silicon Valley. A sedici anni cambiò i dati dei suoi giocatori di Player Manager (su Amiga) in modo che nelle sfide con noi vincessero sempre. I famosi “bamboni”, alti 255 cm, veloci 255 metri al secondo e pesanti 32kg.
“Beh” minimizza lui “è facile. Usa un editor esadecimale e cambia i codici”. Beh, ceeeeeeerto, faccio io, è fac-
-ile, dicevo.
Aiuto.
Comincio ad avere paura di avere fatto il passo più lungo della gamba di Donkey Kong. Gianchino minimizza e sorride sornione come il suo solito: “ma no, devi aprì la rom 6j, ce stanno le variabili, basta che usi lo stesso numero di caratteri o meno”. Ah certo. Quindi neanche accenti circonflessi né caratteri speciali.
Praticamente un rebus per solutori più che abili.
In due giorni di lavoro ci riesco. Capisco come funziona. Che se ho un carattere in più basta metterci un @ e viene considerato uno spazio. Pacman diventa Fricoman (per fortuna era Pac@Man, sette caratteri) ora inseguito da “Giovannino cucchiaio”, “Beppino il tonto”, “Caterina maldicenza” e “Domenico leprotto” — tradotto così fa un po’ libro delle favole, ma sono tutti nomi friulani grotteschi da osteria. Un bel po’ di lavoro ed un bel po’ di imprecazioni a non sforare mai neanche di un carattere: alla fine imparo il trucco. Devono essere esattamente 4096 byte.
Passo un bel po’ di tempo a configurare PinHP: alla fine semplifico così tanto l’interfaccia che — accendendo l’hardware — seleziona direttamente il gioco corretto, e mappo i tasti “credit one” per inserire la monetina e “start” per far partire la partita.
Nota a margine: mi sarebbe piaciuto fare in modo di far funzionare il gioco a pagamento dando i proventi in beneficienza; ma non si può, in pubblico, nemmeno per beneficienza.
Tento un’ultima modifica: vorrei modificare gli sprites, ma l’ultimo programma che poteva farlo era TuracoCL, uscito nel 2003, che pure ha un esempio fatto proprio su Pac-Man. Ma il programma, ohimé, non funziona più. Contatto senza successo il suo creatore. Niente da fare.
Ho fatto tutto l’umanamente possibile. Manca solo una copertina a questo punto: sto pasticciando con Dall-e, l’intelligenza artificiale, e provo a chiedere un “supereroe con la testa di formaggio”.
Sì, bravo Dall-e, ma vuoi mettere con la nostra Elena Guglielmotti?
forte della sua pancetta e della sua tutina macchiata di olio, Fricoman guarda benedicente tutti noi e ci augura buon divertimento, ed in bocca al lupo per la digestione.
Fricoman sarà presentato venerdì 9 alle 17.00, a Friuli Doc 2022 in corte Morpurgo. Intervieni numeroso!